Oltre gli stereotipi Tonina Santi In quale zona di Roma metto le prostitute e gli uomini che le frequentano per quell'impellente bisogno che hanno di fornicare? Questa deve essere stata pressapoco la domanda che si è fatto il sindaco Marino. Che ha sbrigativamente deciso che l'Eur poteva diventare un quartiere a luci rosse. E pazienza se anche in quel luogo vi sono abitanti che non ne vogliono giustamente sapere. Mi verrebbe da dire che solo un uomo ha potuto decidere di risolvere in quattro e quattrotto un problema di tale portata. Ma non è così, perché ormai le parole del senso comune, anche femminile, ci ripetono che la prostituzione è “il mestiere più antico del mondo”, che va rispettata la “libertà di fare mercimonio dei propri corpi” e che prostituirsi “è un lavoro come un altro”. Nell'esercizio della prostituzione si esprime una sessualità degradata, i ferri del “mestiere “ sono i corpi che si fanno strumento e merce allo stesso tempo. Se ciò fosse concepito per altri lavori, lo si riterrebbe degradante per l'essere umano. Perché degradante è la scissione tra corpo e anima in nome del denaro. Un dato statistico rileva che “9 milioni di maschi italiani adulti fanno sesso a pagamento. Ma lo stereotipo è quello che il sesso è colpa delle donne che lo provocano ma tutta salute per gli uomini che lo comprano. Si tratta invece di un'enorme questione maschile.” (Mila Spicola, giornalista) Chi paga la prostituta, chi sceglie tra le tante sul mercato di strada o altrove l'essere umano con cui sfogarsi, utilizzandone a proprio piacere il corpo, esprime potere e libertà. Non esiste rapporto paritario tra chi mette il proprio corpo al servizio del soddisfacimento del desiderio e dello sfogo maschile. Faccio mie le parole di Lea Melandri (Libera Università delle donne – Milano) riportate sulla 27a ora del Corriere il 9 febberaio.
9-3-2015
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